E’ morto Gunter Amendt

Lo scorso 12 marzo è morto a 71 anni in un incidente stradale ad Amburgo, il sociologo scrittore e giornalista tedesco Gunter Amendt,  considerato tra i maggiori esperti internazionali sulla questione delle droghe, e teorico dell’antiproibizionismo.

Dei suoi libri, ricordiamo: Il movimento degli studenti medi in Germania (Einaudi 1970); insieme a Patrick Waldner, Le nuove droghe (Feltrinelli 1998); Das Sex Buch (Rowohlt 1994); Sexfront (Rowohlt 1982). Ha stilato la voce “Droghe” nel Lessico postfordista (Feltrinelli 2001).

Vi proponiamo la trascrizione di una video intervista fatta dallo Sninfo nel febbraio 2007 e pubblicata sul settimanale Carta (n.8 2oo8)

NON C’È FUTURO senza droghe» è l’affermazione provocatoria del sociologo e giornalista tedesco Gunter Amendt. Il suo ultimo libro si chiama «No drugs no future. Le droghe nell’età dell’ansia sociale» [Feltrinelli, 2004]. Lo abbiamo incontrato in occasione di un convegno a Roma. Con lui abbiamo tentato di capire perché le condizioni di vita nelle società occidentali rendono indispensabile l’uso di sostanze psicoattive.

Il cambiamento del sistema produttivo incide sul consumo di sostanze stupefacenti e di farmaci?
Le condizioni di vita nelle ricche società del Nord del mondo rendono indispensabile l’uso di sostanze psicoattive, senza le quali non è più possibile far fronte al lavoro, e vivere risulta intollerabile. Tanto vale prenderne atto, se le droghe del futuro sono soprattutto quelle farmaceutiche, bisogna rivedere, in senso antiproibizionista, le politiche contro  le tossicodipendenze. L’astinenza totale è un’utopia, mentre l’uso e abuso di farmadroghe sono una realtà e una tendenza.

In primo luogo è stato praticamente abolito il lavoro fisico e questo ha cambiato completamente la nostra vita. Il postfordismo aumenta lo sfruttamento psichico degli esseri umani. Per vivere, gli esseri umani hanno bisogno di sostanze che gli consentano di sostenere i ritmi frenetici, per superare la noia o per passare ore davanti al computer. In secondo luogo, la precarietà diffusa nel lavoro crea una grande insicurezza, che aumenta le paure sociali. Per questo l’industria farmaceutica ha prodotto sostanze che aiutano a superare le ansie della nostra società, e che rendono la sensazione di insicurezza meno gravosa. Pensiamo al Prozac, che è la droga per eccellenza contro l’ansia sociale.
Al momento sono quattro, le sostanze su cui l’industria farmaceutica sta concentrando la ricerca: ansiolitici, antidepressivi, anfetaminici e calmanti. Nei laboratori farmaceutici si stanno testando una cinquantina di nuovi prodotti. In futuro non potremo non dirci drogati, non più.

L’aumento dell’uso di cocaina è legato al sistema produttivo che richiede un continuo aumento delle prestazioni?
È assolutamente fuori dubbio che in questo momento si consuma cocaina come non mai, a livello globale, per esempio anche nell’Europa dell’est. Il mercato dell’est è enorme, Minsk, Mosca equivalgono a Napoli e Roma in Italia. La sostanza però più adatta a rispondere all’ansia da prestazione che la società ci trasmette è l’anfetamina, che si ritrova in alcuni farmaci e sempre più spesso anche nella cocaina che si compra in giro, spesso «tagliata» con anfetamina.
I dati che abbiamo a disposizione per valutare se esista realmente l’emergenza cocaina di cui si legge sui giornali, si basano sulle sostanze sequestrate nelle operazioni di polizia e su questa base non si possono fare analisi precise. La mia impressione personale è che ci sia dell’allarmismo. Per dare un giudizio minimamente approfondito avrei bisogno di molte cifre: di quelle del sistema sanitario, del sistema giudiziario e penitenziario e correlare queste cifre tra loro per avere più o meno il quadro della situazione. Inoltre sulla pericolosità della cocaina vorrei aggiungere che, se non è tagliata e se ne fa un uso saltuario, è una sostanza governabile. È molto pericolosa nella forma di free base [cristalli, ndr] o quando la si trasforma in crack. Il vero fenomeno nuovo rispetto alla cocaina è che da droga di élite è diventata una sostanza di massa, e questa è una novità da analizzare.

Lei ha affermato più volte che l’antiproibizionismo e la liberalizzazione delle sostanze non sono una questione ideologica ma una risposta pratica ad un problema esistente. In che senso?

Credo che buona parte dei problemi legati alle sostanze dipendano dal fatto che sono vietate. Ad esempio la loro qualità. Se la canapa fosse legale, sarebbe soggetta alle stesse leggi che valgono per il burro o per il vino, il produttore dovrebbe mantenere una certa qualità.

Dobbiamo pensare che in Europa ci sono milioni di persone che fumano canapa e non hanno alcun diritto come consumatori. Se la canapa fosse legale si potrebbe per esempio fare una legge per regolare e rendere esplicito il contenuto di thc. Se compro una grappa o un qualsiasi altro tipo di alcolico, sull’etichetta è obbligatorio segnalare quanto alcool contiene.

Lo stesso varrebbe per la canapa se su ogni confezione fosse indicata la provenienza e il quantitativo di thc. Con un’informazione corretta sulle sostanze si limitano molti danni.

Per le pillole vale lo stesso discorso. Non sappiamo mai cosa contengono, salvo farle analizzare in laboratorio. Un problema delle sostanze illegali è che non si sa né quali principi attivi ci siano dentro né in che dosaggio. Se fossero legali ci sarebbe una garanzia sia sul contenuto sia sul dosaggio.

L’altra faccia della medaglia è capire le conseguenze del proibizionismo sui produttori. Sono tutti problemi veramente pratici, che davvero producono danni più delle sostanze in sé. Prendiamo l’esempio della cocaina. La cocaina è una droga mortale non tanto per chi la consuma quanto più per chi la produce. La «war on drugs» è una guerra reale, che uccide ogni giorno moltissimi uomini e donne soprattutto in America latina. In quei paesi vengono avvelenate con diserbanti delle superfici enormi, un disastro paragonabile agli attacchi con l’Agente arancio, il defoliante alla diossina che gli americani usarono nella guerra del Vietman. Gli elicotteri spargono diserbanti che avvelenano piante, acqua, animali e esseri umani. Migliaia di persone sono in fuga dalle zone contaminate e questo è un aspetto che dobbiamo sempre aver presente quando si parla di sostanze. Terzo punto, il proibizionismo costa caro. L’uso delle sostanze crea dei costi sociali elevati, ma mi ha sempre stupito il fatto che in Germania, e credo anche in Italia, non sia mai stato fatto un calcolo dei costi della repressione: per la polizia, per la giustizia, per le carceri. Per questo dico che chi sostiene il proibizionismo lo fa per ideologia. C’è molta disinformazione che genera paura, e la paura è sempre un capitale politico. In Germania per esempio sono stati chiusi molti spazi sociali, com’è successo al Livello 57 a Bologna, con la motivazione che lì si faceva uso di cannabis. La realtà, invece, è che spesso dietro ci sono interessi più forti come la speculazione edilizia o la propaganda elettorale. In questo senso si può dire che il proibizionismo sia davvero la clava della repressione.

 

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