Cocaina. Il consumo controllato

Cocaina. Il consumo controllato
A cura di Grazia Zuffa
Edizioni Gruppo Abele – € 14,00

Testi di: Stefano Bertoletti, Claudio Cippitelli, Peter Cohen, Tom Decorte, Patrizia Meringolo, Susanna Ronconi, Grazia Zuffa
Introduzione di Livio Pepino

Studiare i controlli che i consumatori esercitano sulle droghe può sembrare una contraddizione poiché nell’opinione corrente la parola droga è associata alla dipendenza. La scienza asseconda questa visione e si concentra sugli assuntori intensivi e sulle proprietà additive delle sostanze.
Eppure, un consistente corpo di ricerche internazionali mostra che molti consumatori sono in grado di dominare le droghe invece che esserne dominati. Ciò avviene tramite l’apprendimento di regole sociali e personali volte a impedire che il consumo comprometta la “normalità” quotidiana. Il libro offre una prospettiva teorica alternativa al “farmacocentrismo” dominante, soffermandosi sull’uso controllato di cocaina con i primi studi italiani.

Vi prorponiamo uno stralcio di uno dei capitoli del libro “Cocaina. Il consumo controllato” scritto da Grazia Zuffa.
Grazia Zuffa, psicologa e psicoterapeuta, componente del Comitato scientifico sulle dipendenze presso il Ministero della Solidarietà sociale e del Comitato nazionale di Bioetica.

____________________________________________________________

“Per capire come e perché alcuni consumatori avevano perso il controllo sull’uso di droga, avrei dovuto affrontare la questione fondamentale del perché e di come molti altri riescono a raggiungerlo e a mantenerlo»: con queste parole Norman Zinberg spiegava negli anni Ottanta le ragioni che lo spingevano ad intraprendere gli studi sull’uso “controllato”, inteso come non intensivo e non dipendente di droghe illegali.

Forme di autocontrollo

Era allora (e in gran parte lo è ancora) una prospettiva inusuale, poiché nella nostra cultura la parola “droga” richiama il termine dipendenza. In quanto sostanze psicotrope capaci di indurre dipendenza, le droghe sono considerate sostanze “incontrollabili”. Dunque, i termini “droga” e “controllo” sono difficili da conciliare, se per controllo s’intende la capacità dei consumatori di “dominare” le droghe. Piuttosto, è ben radicata l’idea contraria: è la droga ad impossessarsi della vita dell’individuo fino a dominarlo, facendogli compiere azioni che non vorrebbe compiere oppure spingendolo a trascurare compiti cui invece vorrebbe adempiere.

Come è evidente, l’immagine sociale dell’alcol e delle droghe illegali è profondamente differente: il consumo controllato di alcol così come i meccanismi di controllo informale che la maggioranza dei bevitori esercita sono socialmente visibili.

Esiste un sapere diffuso sull’alcol: intendendo con ciò la conoscenza sui vari tipi di bevande, sulle quantità e le occasioni appropriate per bere; e, di converso, la conoscenza sui tipi di bevande particolarmente rischiosi, sulle quantità eccessive, sulle occasioni inappropriate per il bere.   Questo sapere sociale alimenta la credenza che i rischi dell’alcol non necessariamente si traducano in danni, almeno non per tutti; gli individui che decidono di iniziare la carriera di consumatore di alcol condividono questa credenza e nutrono l’aspettativa  di controllare il proprio consumo di alcol.

Il consumo di droghe, alla pari di quello di alcol, non può essere spiegato solo con le caratteristiche chimiche delle sostanze psicoattive. Entrano in gioco variabili psicologiche, come le credenze e le aspettative dei consumatori circa gli effetti delle sostanze e circa la loro capacità/incapacità di usarle senza che queste compromettano e interferiscano con la quotidianità; e variabili sociali e ambientali, quali i rituali e le “regole d’uso”(il cosiddetto setting). I rituali possono essere definiti come le modalità di utilizzo “socialmente raccomandate”. I rituali, insieme alle prescrizioni o regole d’uso sociali, rappresentano una sorta di “guida” all’uso più sicuro delle sostanze.   Ai tempi di Zinberg, la ricerca (così come l’immagine sociale) delle droghe era (e lo è tuttora) viziata di “farmacocentrismo”: intendendo con ciò l’eccessiva enfasi sulle caratteristiche chimiche delle sostanze, trascurando altre componenti, come la psicologia del consumatore, ma soprattutto il setting, con i suoi controlli sociali.

Esiste una larga letteratura sull’uso di cocaina con studi condotti in diversi paesi, dagli Stati Uniti, all’Olanda, al Belgio, di recente anche in Italia: questi mostrano i meccanismi di regolazione sociale e di autoregolazione che la gran parte dei consumatori mettono in atto per far sì che la sostanza non comprometta le attività quotidiane che danno senso alla loro vita. A volte il percorso non è lineare, e alcuni attraversano periodi di consumo più intensivo e di diminuito controllo: ma, come molte altre attività umane, anche l’uso “non interferente” di droga è frutto di un processo di apprendimento.

Esistono però anche oggi importanti differenze fra l’alcol e le droghe illegali: a parte quella più macroscopica dal punto di vista della salute (la scarsa o nulla sicurezza delle droghe vendute sul mercato clandestino), si osserva che i controlli che i consumatori mettono in atto sulle droghe illegali sono socialmente invisibili, perché “invisibili” sono i consumatori stessi, che hanno tutto da perdere dal venire allo scoperto se non vogliono incappare nello stigma del “drogato”(oltre che nelle sanzioni previste dalla legge). Sono certamente più visibili  i consumatori problematici che si rivolgono ai servizi per le dipendenze: spesso solo la gravità dei problemi li spinge a fare il passo, quando ritengono che la designazione di “affetto da dipendenza” sia diventata il male minore. Ciò comporta una maggiore difficoltà per il ricercatore che voglia cogliere i consumatori nel loro setting (o ambiente) naturale.   Al tempo stesso, aumenta, o dovrebbe aumentare, l’interesse a studiare questo spaccato “sommerso” del consumo per le conoscenze preziose che offre. Ad esempio, si potrebbe scoprire come circola il “sapere” sulle droghe illegali, considerato che non può avere cittadinanza nella cultura ufficiale in ragione della proibizione; come si potrebbero confrontare le peculiarità dei controlli delle droghe, che fanno parte di una cultura “sotterranea”, rispetto a quelli dell’alcol, che appartengono alla cultura “ufficiale”.

Con ogni evidenza, questa ricerca apre un campo promettente di applicazione nel campo della sanità pubblica: chi, nonostante la proibizione, decide comunque di usare droghe, quali opportunità ha di accedere alle conoscenze utili per un uso meno rischioso e più controllato?   Ancora, si può ipotizzare un’influenza negativa sulla psicologia del consumatore dell’immagine sociale delle droghe quali sostanze “incontrollabili”: se è vero, com’è vero, che la convinzione del consumatore di “dominare” la sostanza predice la sua effettiva capacità di tenere il consumo sotto controllo (e viceversa). Sono temi di cruciale interesse per coloro che operano nell’ambito delle dipendenze, tanto per sfatare il mito che la ricerca sui modelli d’uso di droga nei setting naturali sia di solo interesse dei sociologi.

 

This entry was posted in da leggere. Bookmark the permalink.